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Il Tribunale di Termini Imerese ha condannato in prima udienza i convenuti al versamento in favore dell’Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato, applicando la sanzione prevista all’art. 8, comma 5, del d.lg. n. 28 del 2010.

Il giudice non ha infatti ritenuto un “giustificato motivo” la  motivazione della mancata partecipazione addotta dai difensori dei convenuti che avevano ritenuto inutile il tentativo di mediazione “in ragione della acclarata ed atavica litigiosità tra le suddette”.

Ma ciò che preme soprattutto evidenziare è che il giudice ha comminato la sanzione in prima udienza; difatti nella sentenza del 9 maggio 2012 leggiamo, tra l’altro,  che:

  • “rilevato che l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinde del tutto dall’esito del giudizio e che tale irrogazione non può, pertanto, ritenersi necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia;
  • ritenuto, pertanto, che la sanzione pecuniaria in questione ben può essere irrogata anche in corso di causa e in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio”.

Encomiabile l’orientamento del giudice – dr. Piraino – che ha sapientemente colto la ratio della riforma introdotta con il maxiemendamento dell’agosto 2011 che, al fine di stimolare la partecipazione alla mediazione per le materie obbligatorie, integrò il comma 5 dell’articolo 8 del d.lgs. 28/2010, prevedendo una multa per chi, invitato, non partecipa al procedimento di mediazione,  in un secondo tempo, con il d.l. 212/2011 (22 dicembre 2012), era stato previsto che tale sanzione venisse irrogata, nel successivo giudizio, alla prima udienza e con ordinanza non impugnabile.

Tuttavia  la legge di conversione (L. 17/2/2012, n.10) del d.l. 212/2011 ha, successivamente, soppresso la postilla che riguarda l’irrogazione della sanzione alla prima udienza e con ordinanza non impugnabile.

Sicuramente la previsione di una sanzione costituisce un serio tentativo del legislatore di impedire che le polemiche dei professionisti potessero vanificare gli intenti dell’istituto e, pertanto, è intervenuto più volte con un inasprimento delle sanzioni e delle conseguenze processuali in caso di mancata e non giustificata partecipazione all’incontro di mediazione.

In questa ottica si colloca la citata sentenza che, ad onor del vero, ben rappresenta con molteplici altre sentenze un approccio di favor e propositivo del potere giudiziario nei confronti del nuovo istituto della mediazione.

Restano, viceversa , voci isolate, quelle di alcuni giudici – pochi e non togati – che hanno espresso in qualche sentenza tutto il loro sterile ostracismo.

Nello specifico ci si riferisce alla sentenza del 23/02/2012 del Giudice di Pace di Napoli – sezione seconda – nella quale, in sintesi, si legge che una norma sul rito può riguardare il giudizio dinnanzi al Giudice di Pace solo se ciò è espressamente previsto; la mediazione obbligatoria, ex art. 5 d.lgs. 28/2010, non va esperita – a condizione di procedibilità – nei giudizi davanti il Giudice di Pace.

Il giudice di pace giunge a tale conclusione disquisendo  circa i principi generali che regolano la successione delle leggi.

Consapevoli che la funzione nomofilattica spetta alla Suprema Corte che garantisce l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, riserviamo, nondimeno,  la  dovuta attenzione al giudizio espresso dal dr. Giancarlo Triscari – magistrato addetto  alla  Direzione generale della giustizia civile – il quale ha affermato che la pronuncia del Giudice di Pace di Napoli non è corretta e soprattutto che deve essere chiaro che il procedimento di conciliazione non contenzioso dinanzi al giudice di pace non è alternativo al procedimento di mediazione.

D’altro canto la  mediazione rappresenta una vera  rivoluzione culturale e quindi eventuali resistenze al cambiamento sono inevitabili, benché vane.