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La Corte Costituzionale ha finalmente depositato le motivazioni che non smentiscono il comunicato stampa che aveva anticipato la declaratoria di incostituzionalità per eccesso di delega legislativa del d.lgs. 28/2010 rispetto alle indicazioni e alle direttive date dalla legge delega.

In definitiva la Consulta ha dichiarato  l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost. La declaratoria deve essere estesa all’intero comma 1, perché gli ultimi tre periodi sono strettamente collegati a quelli precedenti, in quanto resterebbero privi di significato a seguito della caducazione di questi.

Ed ora quale scenario si prospetta?

La Corte ha esplicitamente dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010 e dell’art. 16 del D.M. 180/2010 così come modificato ed integrato dal D.M. 145/2011, sollevata dal Giudice di pace di Recco, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 Cost.

Ciò significa  che il vizio riguarda un aspetto formale dell’istituto, rectius un errore di tecnica legislativa. Ma le conseguenze di questo errore tecnico potrebbero avere un impatto dirompente sull’istituto della mediazione. Un passo indietro,una battuta d’arresto –  inutile negarlo –  proprio nel momento in cui la mediazione stava dimostrando di essere uno strumento efficace per la risoluzione delle controversie.

È pur vero che istituto resiste, ma con gravi difficoltà e ricadute economiche negative a carico soprattutto degli utenti finali, proprio coloro che i detrattori della mediazione intendevano tutelare!

Segnaliamo un effetto sostanziale della sentenza sin’ora trascurato.

All’indomani della pubblicazione della decisione – ossia da oggi – viene meno la possibilità di usufruire di un tariffario agevolato nella materie di cui all’abrogato art. 5 comma 1, cade la possibilità di avvalersi delle condizioni di ammissione al patrocinio a spese dello stato.

Non si tratta di conseguenze irrilevanti. I cittadini stavano prendendo dimestichezza con un istituto nuovo e soprattutto non appartenente alla nostra tradizione giuridica che da sempre ha inteso il conflitto come evento patologico,  uno dei motivi di congestione dei tribunali. Viceversa la mediazione si propone di diffondere una cultura rivolta alla costruzione del consenso condiviso, fondato sia sulla ricerca di una risoluzione creativa e soddisfacente dei problemi sia sulla costruzione di una relazione stabile nel tempo. Ebbene l’obbligatorietà rappresentava il passo necessario per avviare un cambiamento di forma mentis di tale portata.

D’altra parte il venir meno dell’obbligatorietà, in particolari materie (quelle dell’art. 5 del citato decreto legislativo), comporta il venir meno delle sanzioni processuali collegate all’obbligatorietà stessa e quindi smorza l’effettività della procedura e neutralizza i possibili effetti deflattivi sulla mole dei processi civili.

Viene meno, ad esempio, la sanzione pecuniaria, pari al contributo unificato, per chi non partecipa alla mediazione. Cade la condizione di procedibilità della mediazione, conseguentemente cade il relativo obbligo di informativa da parte dell’avvocato, ciò significa che il soggetto che si trova a dover risolvere una controversia potrà non sapere che esiste un’alternativa al processo, ai suoi costi, ai suoi tempi e ai suoi rischi.

Occorre, in tempi rapidi, reagire, diffondendo la mediazione di qualità, ma soprattutto è necessaria una presa di posizione  rapida da parte del Governo, ed in particolare del Ministro della Giustizia, affinché sia rimosso un vizio formale che potrebbe avere  conseguenze negative sull’intero sistema giustizia e non dimentichiamo che il grave problema dell’ingolfamento e lentezza della giustizia civile ci rende il Paese più multato in Europa. Senza l’obbligatorietà quali prospettive abbiamo di decongestionare il carico giudiziario?

In via di principio è senza dubbio  condivisibile l’opinione di alcuni che auspicherebbero che la cultura della mediazione si diffonda a tal punto da abrogarne l’obbligatorietà diventando, appunto, un’alternativa seria e consapevole alla giurisdizione, ma il raggiungimento di tale ambizioso obiettivo non può prescindere dall’obbligatorietà.

Pubblicato il  7 dicembre 2012